Biografia di Camaron terza parte
L’evoluzione e l’incontro con Tomatito
“La leyenda del tiempo”, album edito nel 1979 e decima opera di Camarón, vede una rottura totale con i lavori precedenti da ogni punto di vista. No c’è più la collaborazione di Paco de Lucía ed il cantaor di San Fernando si orienta verso nuovi percorsi artistici.
Ricardo Pachón ha sostituito Antonio Sánchez come produttore, e come chitarrista sostituto di Paco de Lucía appare José Fernández Torres, cioé Tomatito, giovane chitarrista di stirpe gitana che dimostra il suo talento accompagnando il cante di Camarón sino alla fine della sua vita.
In una delle biografie di José Monge si commenta: “Oltre ad essere un disco iconoclasta e grande in tutti i sensi “La leyenda del tiempo” va più in là, marcando un punto di svolta nel genere. Lavoro criticato dai puristi e notevole insuccesso commerciale (vende solo 5.400 copie sino al giorno della morte di Camarón), è innovativo in tutti i sensi senza smettere di essere flamenco.
Oltre ad utilizzare letras basate su opere di artisti di grande valore letterario, come García Lorca, Villalón e Omar Khayam, il disco vede l’inserimento di tastiere, basso elettrico, batteria, arrangiamenti più vicini alle sonorità del jazz e del rock e le collaborazioni di compositori come Kiko Veneno, autore della Rumba salsera “Volando Voy”. Si nota in particolare la collaborazione del giovane Tomatito, che assume un certo ruolo da protagonista nel disco, rivelandosi all’altezza in tutte le circostanze”.
E il commento conclude con questa espressione: “La leyenda del tiempo è l’opera di riferimento di Camarón e del flamenco degli ultimi decenni”.
L’album contiene dieci pezzi. Si apre con la canzone che dà il nome al disco. I primi brani sono: tre bulerías, una cantiña ed un taranto. In questi cinque primi pezzi è pienamente presente la poesia di García Lorca. Di seguito vengono “Volando Voy”, la rumba di Kiko Veneno, l’alegrías “Bahía de Cádiz” con letras di Villalón, la bulerías “Viejo Mundo”, con letras dI O.Kaya, adattate da Veneno. In relazione a queste letras, Mercedes García Plata commenta: “Non si sa che edizione né che traduzioni siano state utilizzate dal gruppo Veneno per realizzare questo montaggio di testi non pubblicati nell’opera citata”. Il disco termina con i pezzi “Tango dela Sultana”, con letras di F. Díaz Velázquez, A. de la Casa e R. Pachón, e con la “Nana del Caballo grande”, brano di grande buon gusto, con letra presa da Bodas de Dangre di García Lorca, che chiude l’album. Disco parecchio lorchiano, dunque, con temi musicali festeros per la maggior parte.
Nel 1981 esce “Como el Agua”, lavoro nel quale Camarón torna a riunirsi con in studio con Pace de Lucía.
Comincia con questo disco la decade discografica degli ottanta, decade che ha segnato per il canator un periodo di luci ed ombre. Il chiarore è rappresentato dal suo lavoro artistico con i trionfi ed una progressiva e positiva ripercussione nel successo di pubblico: solo successi dunque in tutti gli aspetti della sua vita artistica.
Le tenebre sono invece rappresentate nell’inizio di una tossicodipendenza da eroina.
Il disco contiene due brani di tangos, tre di bulerías, uno di alegrías, e uno di fandangos de Huelva e uno ancora di taranta. Tutti i pezzi sono composti da Pepe de Lucía, eccetto la bulerías “Gitana te quiero”, firmata da Camarón ed Antonio Humanes. Chiude l’album la bulerías “La luz de aquella farola”.
Accompagnato di nuovo da Paco de Lucía e Tomatito, nel 1983 il nome di Camarón appare in un nuovo disco intitolato “Calle Real”, che comprende, come il precedente, otto pezzi, la metà dei quali sono bulerías.Comprende anche tangos, tanguillos fandangos de Huelva e rumbas.
Il contenuto ha molte similitudini con il disco anteriore.
“Viviré” è il lavoro che esce al mercato nel 1984 e si compone di tre bulerías, tangos, alegrías e siguiriyas. E’ stato un grande successo commerciale rispetto ai suoi lavori passati.
Partecipano all’incisione componenti del sestetto di Paco de Lucía. Cinque degli otto pezzi dell’opera sono scritti da Pepe de Lucía. Della direzione musicale si è occupato proprio Paco de Lucía.
Si è detto che i tre anni che separano “Como el Agua” e “Viviré” possono considerarsi come il periodo nel quale Camarón definisce il suo stile, esplorando al massimo le sue possibilità all’interno della cornice della sua grande personalità creativa. Realizza i cantes rispettando le regole fondamentali che li identificano come flamenchi e, allo stesso tempo, proietta i suoi ideali sonori in un o stile che, da allora, è considerato come camaronero.
Nel 1986 esce sul mercato il disco “Te lo dice Camarón” che viene registrato in uno dei momenti peggiori per lo stato d’animo del cantaor. Tecnicamente il disco ha delle deficienze che lo stesso produttore giustifica con il momento difficile che sta attraversando l’artista, fino al punto che il disco è uscito senza la masterizzazione finale, dal momento che Camarón se ne dovette andare per la morte di sua madre. Il lavoro uscì quindi nelle condizioni in cui si trovava in quel momento.
Nel disco si fa omaggio di tutte le persone che il cantaor ammirava e che hanno influenzato la sua vita artistica, come Antonio el Chaqueta, la Perla de Cádiz e lo stesso Paco de Lucía. I brani includono cantiñas, una rumba, un fandango, dei tangos ed una soleá.
“Flamenco vivo” esce nel 1987. E’ l’unico disco che Camarón registra in diretto edito mentre il cantaor era ancora in vita. Ricardo Pachón è stato l’editore del disco, oltre che colui che ha realizzato la ricompilazione dei pezzi presi dai festival nei quali è intervenuto Camarón. Si trovano nel lavoro tre bulerías, fandangos e tangos; l’album è composto da sei pezzi.
In altro disco definito storico è stato “Soy Gitano” del 1989. Il pezzo che dà nome all’opera è un tangos-rumbas che è diventato molto popolare. Prodotto anche questo da Ricardo Pachón e con un costo che è stato definito quello più alto della storia del genere sino ad allora.
Si potrebbe motivare la somma spesa con la partecipazione al disco della sezione di archi della Royal Philarmonica Orchestra, ed i maggiori costi degli studi di registrazione di Abbey Road di Londra. In compenso è stato un grande successo commerciale che è servito a lanciare al Cantaor di San Fernando ampliando la conoscenza della sua figura al grande pubblico internazionale.
Letras dei poeti Federico García Lorca e Miguel Hernández sono comprese nei brani registrati.
Nel pezzo “Amor Conuco”, una rumba, del cantautore Juan Luis Guerra, suonano Tomatito e Raimundo Amador, ai quali si aggiunge la voce di Ana Belén.
In relazione a quest’album Camarón ha dichiarato: “Il disco lo abbiamo registrato a Siviglia, abbiamo messo la voce a Madrid e lo abbiamo montato a Londra perchè vogliono mettere una filarmonica. Il disco sarà per metà commerciale e per metà a modo mio, possono mettere quello che vogliono ma io devo essere io”.
L’ultimo disco registrato da José Monge è stato “Potro de Rabia y Miel” nel 1992, stesso anno della sua morte.
La sua grave malattia è stata la causa delle grandi difficoltà che si sono dovute affrontare per portare a termine la registrazione. In una delle sua biografie si racconta alcune delle peripezie occorse nel processo di registrazione: “E’ costato la vita stessa portare a termine la registrazione di Potro de rabia y miel. Camarón a momenti restava incosciente e non c’era chi riuscisse a farlo reagire. Il cantaor andava in studio senza sapere quel che doveva cantare, gli mettevano davanti un foglio con la strofa scritta in grande e cercava di memorizzarla. “Un cuartelillo (cioé una Pausa) no? chiedeva Camarón. Riposavano un po’, fumavano, tentavano inutilmente di rilassarsi e riannodavano la tortura”.
“Paco gli ripeteva venti volte la base della canzone e venti volte Camarón la sbagliava”.
“Un’altra volta José, un’altra volta” gli chiedeva. Tornava a cantare male. Quando tutti i tecnici, i fratelli de Lucía, i musicisti e perfino gli addetti alle pulizie credevano che Camarón non sarebbe stato in grado di cantarla mollava un’intonazione che non era quella che Paco o Pepe gli avevano cantato, ma le superava di molto in bellezza e tensione ritmica”.
I nove temi che compongoni il disco si distribuiscono in quattro bulerías, due rumbas, un tangos, un tanguillo
ed una taranta.
I tredici anni que passano dall’uscita della “Leyenda del Tiempo” sino all’ultima opera di Camarón, “Potro de rabia y miel” si sviluppano seguendo la stessa falsa riga di produzione; una forma diversa di presentare quel che si offre come flamenco rinnovato, con l’intenzione di ampliare la fetta di pubblico che lentamente sarebbe cresciuto. Si trattava, utilizzando il supporto discografico, di stabilizzare un mercato sempre più ampio.
Se si segue l’evoluzione degli otto dischi prodotti in questo secondo periodo di tredici anni dal cantaor di San Fernando, si osserva che i canti denominati festeros predominano su quelli drammatici: con ciò il prodotto che si offre al publico si semplifica, si fa molto “digeribile”. Da qui il rifiuto dimostrato dall’aficionado ortodosso davanti a questi prodotti. L’inizio di questo nuovo punto focale della discografia flamenca fu “La Leyenda del Tiempo”, disco che, anche se è stato un flop economico, è servito per introdurre il seme delle nuove tendenze, che sono sopravvissute anche dopo la scomparsa di Camarón.
Il seme aveva dato dato i suoi frutti in una nuova categoria di aficionado al flamenco molto diverso a quello classico, ortodosso, cabal.