Le basi del Flamenco
La struttura dell’arte flamenca
Sulle origine del flamenco molto è stato detto e scritto. Ma dal momento che ci troviamo di fronte ad un’arte molto vasta sia in ambito artistico che geografico, caratterizzata inoltre, almeno sino ad un certo punto, dalla tradizione prettamente orale, niente può essere innalzato a scienza esatta. Il corretto approccio è bensì considerare una serie interminabile di congetture, interpretare il retaggio culturale ancora forte e presente in queste regioni e analizzarlo con uno sguardo antropologico.
Una delle prime cosa da tenere in considerazione è la dominazione araba nella penisola Iberica, durata quasi otto secoli, con i centri del potere e della cultura nel sud del paese, il califfato di Al-andalus, che ebbe come capitali le città di Cordoba e Granada.
Lo stile del canto moresco, con i suoi lamenti, la tipica modulazione vocale, unito alle romanze castigliane che dal nord si diffusero nel sud della penisola, a partire dal XV secolo, di pari passo con la riconquista, andò formando lo stile canoro denominato ‘Cante Andaluz’.
Molti attribuiscono la creazione del flamenco al popolo gitano: sebbene il suo ruolo sia stato importantissimo nell’evoluzione di quest’arte, relegarla a produzione esclusiva di coloro sarebbe ingiusto e storicamente errato. L’influenza gitana è stata comunque fondamentale nello sviluppo del flamenco, ma non tanto da prescindere da molti altri fenomeni e correnti musicali già esistenti e radicati nel territorio.
I gitani, per loro tradizone, furono un popolo errabondo, e vennero scacciati da tutti i paesi per il loro modo di vivere. In Spagna entrarono agli albori del XV secolo attraverso la Catalunya; alcuni si fermarono a nord ed altri precedettero verso sud, fermandosi nella parte occidentale dell’Andalucia, nelle provincie di Siviglia e Cadiz. Altre versioni indicano una loro provenienza dall’Africa, in seguito alla loro espulsione dall’Egitto: quindi questa teoria presuppone un’entrata nella penisola Iberica da sud, una delle ipotesi a difesa di questa tesi è che la definizione gitano derivi da -egipciano-.
Tralasciando però queste congetture che fanno parte di un periodo storico precedente a quello che vogliamo sviscerare in questo approfondimento, ciò che realmente interessa è spiegare che i gitani hanno senz’altro diffuso il Flamenco a partire dalle zone in cui si stanziarono prima di tutto, cioè Cadiz e Siviglia, per poi diffonderne le forme primitive con le loro migrazioni in Andalusia.
Dove essi arrivavano ad insediarsi, col tempo, mescolavano i loro stili di produzione artistica con quelli autoctoni della zona, dando luogo a nuove forme ed evoluzioni che a loro volta sarebbero migrate verso nuove terre in un’interminabile e continuo rimescolamento culturale che attraverso i secoli e le migrazioni nella geografia andalusa ha dato forma e base ai vari stili del flamenco arrivati fino ai giorni nostri e oggi denominati ortodossi.
Si può incominciare a dire che il Flamenco nasce primordialmente come canto e che esistono due tipi di flamenco primordiale: quello dei contadini andalusi poveri e sfruttati e quello dei gitani erranti e perseguitati. Il punto che li accomuna è sicuramente la sofferenza, sentimento che è alla base della cultura flamenca. La voce umana è sicuramente il primo e più spontaneo strumento musicale, lo strumento intorno al quale si creò tutto l’impianto del flamenco.
Il canto più antico di cui si ha conoscenza è la Tonà, che fa parte dei palos basici, senza compas né accompagnamento.